Strumenti possibili per prevenire il mobbing
Le note caratteristiche
Le note caratteristiche costituiscono il documento tipicamente utilizzato nelle forze armate per registrare il giudizio espresso nei confronti di un militare da parte dei propri superiori.
Tale valutazione riguarda principalmente il rendimento del militare durante il servizio prestato, tramite la compilazione di una scheda valutativa composta da una serie di voci a ciascuna delle quali sono assegnati una serie di giudizi, dal più basso al più alto. Generalmente le voci individuate permettono la valutazione a 360° del militare ed attengono all’aspetto esteriore dello stesso, alle proprie caratteristiche fisiche, caratteriali ed intellettuali, nonché alla motivazione al lavoro, alle competenze acquisite in relazione alla propria esperienza, alla capacità d’esecuzione degli incarichi affidati e alla capacità d’iniziativa e autonomia nello svolgimento degli stessi, alla volontà e la frequenza d’aggiornamento professionale.
La scheda valutativa si conclude con un giudizio finale e con l’attribuzione delle qualifiche finali da parte delle competenti autorità militari o civili della difesa:
- a) eccellente;
- b) superiore alla media;
- c) nella media;
- d) inferiore alla media;
- e) insufficiente.
Tale documento viene redatto a cadenza periodica (generalmente ogni anno) e si riferisce ad un lasso di tempo specifico che deve essere individuato precisamente all’interno del documento stesso. Sotto questo aspetto, è utile precisare che ciascuna valutazione è valida solamente per il periodo di tempo indicato e che ciascuna valutazione è indipendente dalle altre effettuate in precedenza o successivamente. In ragione di ciò, si sottolinea che per la formazione delle note non possono venire in rilievo elementi, fatti o circostanze antecedenti al periodo di riferimento, né le valutazioni precedentemente espresse possono influenzare il giudizio espresso in seguito. Di conseguenza, sussiste un principio di attualità e tempestività della compilazione delle note caratteristiche, le quali devono essere redatte a seguito di eventi specifici, ovvero al termine del periodo preso come riferimento.
Inoltre, la nota caratteristica è espressione del giudizio diretto del superiore del militare, il quale deve basare le proprie valutazioni tramite la conoscenza personale e diretta del militare e del proprio operato.
Ciascuna valutazione deve essere effettuata non solo in base all’acquisizione diretta delle informazioni sul rendimento ed al servizio prestato dal militare, ma deve anche essere ispirata a principi di imparzialità ed obiettività.
A tal proposito, è fondamentale il ruolo svolto dal revisore, al quale compete, come ultima autorità titolata ad esprimere il giudizio sul valutando, la formulazione di un giudizio e di una qualifica finale (tramite la traduzione in sintesi dei giudizi formulati nel documento caratteristico), nonché il controllo sull’attività di valutazione posta in essere dal compilatore. Infatti, è data facoltà al revisore di correggere, integrare, confermare il giudizio di merito espresso dal compilatore attribuendo la qualifica finale.
Una valutazione positiva non è solo motivo di assegnazione degli annuali premi di produzione, ma costituisce la base essenziale di giudizio per la futura carriera del militare ed è, pertanto, in grado di determinarne lo sviluppo in senso positivo o negativo.
Una qualifica “inferiore alla media” può determinare gravi conseguenze non solo sul piano economico, ma anche la mancata progressione di carriera del militare, mentre una valutazione negativa espressa per due volte di seguito può determinare la dispensa dal servizio permanente, conseguenza particolarmente grave.
Come qualsiasi provvedimento amministrativo, il documento caratteristico può essere viziato per eccesso di potere, incompetenza e violazione di legge. In particolare, è essenziale che il provvedimento sia provvisto di un’adeguata motivazione, logica e coerente.
Di frequente l’Amministrazione esprime giudizi tramite “formule di rito” standardizzate che talvolta possono essere contraddittori o talaltra non trovare riscontro nella condotta del militare. In particolare, le note caratteristiche devono esprimere un giudizio coerente non solo con l’operato militare ma con quanto espresso all’interno del documento stesso. È soprattutto necessario giustificare un improvviso abbassamento dei giudizi rispetto a quelli precedentemente espressi tramite un’adeguata motivazione. Quest’ultima deve essere specifica e precisare sulla base di quali elementi si reputa equo un giudizio piuttosto che un altro, nonché le ragioni a supporto dell’asserito peggioramento.
Sul punto, il TAR per la Lombardia (sede di Milano) ha chiarito che “se è vero che le valutazioni dei militari contenute nei vari documenti caratteristici sono regolate dal principio di autonomia e indipendenza dei giudizi, è altresì vero (cfr., sul punto, T.A.R. Lazio, Sez. I-bis, n. 10468/2012, id., n. 5862/2011) che, in presenza di precedenti e costanti valutazioni favorevoli del militare, le denunciate flessioni di rendimento, unitamente alla intervenuta carenza nelle doti già riscontrate, devono essere dettagliatamente motivate, al fine di consentire la verifica dell’iter logico seguito, di volta in volta, dall’Amministrazione.”, precisando che devono essere soggette ad attento vaglio soprattutto quei giudizi inerenti ad elementi che, per loro natura, non sono suscettibili di significative variazioni nel breve periodo. Quindi, sebbene l’autorità militare goda di un’ampissima autonomia di espressione e di discrezionalità nell’esprimere le proprie valutazioni, le stesse risultano caratterizzate da un eccesso di potere “ove non sussista nessun elemento nuovo tale da giustificare una diversa valutazione. Ciò con particolare riferimento a quelle valutazioni che attengono a caratteristiche consolidate in una persona quali le qualità morali e di carattere e le qualità culturali ed intellettuali” (Tar Emilia Romagna sent. n. 602/2013), le quali, seppur potenzialmente suscettibili di variazioni in negativo nel corso del tempo, raramente sono soggette ad una sistematica e complessiva riduzione, tale che, in tal caso si impone una sintetica motivazione che spieghi le ragioni della improvvisa flessione dei giudizi (Tar Lombardia sent. nr. 953/2013; Tar Lecce Sent. nr. 702/2016).
L’onere motivazionale posto a carico dell’Amministrazione è, pertanto, tanto più elevato quanto è maggiore il lasso di tempo durante il quale il militare è stato valutato positivamente (Tar Lazio Sent. Nr. 113/2012). La motivazione deve basarsi su elementi fattuali ben precisi: ad esempio, essa non deve essere generica ma deve richiamare le eventuali contestazioni in cui è incorso il militare a causa della propria negligenza; mentre, al contrario, sarà giudicato del tutto contraddittorio ed illogico un giudizio negativo espresso in vivo disaccordo con l’esistenza, durante il periodo di riferimento, di lettere di apprezzamento dei superiori e quant’altro testimoni una situazione tutt’altro che negativa (Tar Lombardia Sent. nr. 1202/2016).
Concludendo, è principio ormai consolidato che l’improvviso peggioramento della valutazione richieda il supporto di un minimo sforzo motivazionale, in particolar modo quando il giudizio finale sia destinato ad incidere negativamente nella sfera giuridica del valutando; pertanto, sebbene le schede valutative vadano considerate nella loro autonomia, “ciò non toglie che, nei casi in cui si riscontra una soluzione di continuità nella successione delle valutazioni, sia necessario giustificare adeguatamente l’improvviso mutamento di qualifica” (Tar Liguria Sent. nr. 605 del 2012). La caduta verticale del giudizio a fronte di valutazioni favorevoli costanti impone, dunque, un adeguato corredo motivazionale che giustifichi la denunciata flessione generale del rendimento e ciò al fine di rendere esplicito, intellegibile e verificabile l’iter logico seguito dall’amministrazione.
Alcuni elementi costitutivi di un giudizio negativo possono essere le eventuali modifiche degli incarichi assegnati e/o delle funzioni rivestite, ovvero la presenza di alcune contestazioni disciplinari, le assenze giustificate, nonché tutta la documentazione atta a delineare complessivamente il comportamento tenuto dal militare in servizio. In assenza di alcun elemento nuovo di questo tipo non è possibile modificare in negativo un giudizio positivo costante afferente a caratteristiche ormai consolidatesi nel tempo. Di conseguenza, qualora improvvisamente la valutazione in merito all’operato del militare sia soggetta a mutamento senza che vi siano elementi nuovi valutabili a tal fine, essa deve ritenersi senz’altro sospetta, in ragione della evidente discrasia emergente dalla comparazione del nuovo giudizio con i precedenti, tutti positivi, senza che vi sia stata alcuna variazione delle funzioni e dell’incarico.
Altro aspetto importante è la coerenza del giudizio espresso fra il compilatore ed il primo revisore. Tuttavia, egli non è vincolato al giudizio del primo, ma assolve piuttosto una funziona di controllo, essendo deputato a correggere, integrare o confermare il giudizio espresso dal compilatore tramite la formulazione del giudizio finale e l’attribuzione della qualifica. Il primo revisore, inoltre, deve esprimere il proprio giudizio sulla base di una conoscenza effettiva e diretta del militare e del suo operato. Qualora ciò non sia possibile, ovvero in tutti i casi in cui non sia possibile effettuare una valutazione obiettiva ed imparziale, il primo revisore è tenuto ad astenersi dal giudicare o ad acquisire ulteriori informazioni ed elementi necessari per la valutazione.
Pertanto, il giudizio finale deve essere sempre essere improntato alla conoscenza diretta del militare e del proprio operato, in quanto diversamente risulterebbe del tutto arbitrario ed illegittimo. Tale impostazione trova altresì conferma nella pronuncia n. 1444/2006 del T.A.R. Calabria, dove, per l’appunto, affrontando la tematica della competenza nella redazione dei documenti caratteristici, viene chiarito che la peculiare struttura organizzativa dell’Arma, il più delle volte, vede localizzati anche a grande distanza i comandanti di reparto ed i loro superiori gerarchici, non garantendo quel giudizio personale e diretto del valutando che va a costituire il presupposto essenziale della nota caratteristica.
Infine, il provvedimento illegittimo può essere annullato esperendo in primis il ricorso al superiore gerarchico, mentre in secundis, a seguito di rigetto, è proponibile il ricorso giurisdizionale presso il Tribunale Amministrativo regionale competente.
- Il procedimento disciplinare
Il mobbing all’interno delle forze armate può manifestarsi attraverso l’applicazione di sanzioni disciplinari ingiustificate o sproporzionate rispetto all’entità dell’illecito disciplinare concretato. Queste, dunque, possono essere irrogate esclusivamente a seguito di un peculiare procedimento disciplinare, secondo quanto disposto dalle specifiche normative di settore.
Il procedimento disciplinare applicabile alle forze armate ed ai corpi militari possiede una particolare forma e struttura che lo differenzia sia dal procedimento disciplinare utilizzato per gli altri dipendenti pubblici sia da quello previsto nel settore privato.
Attualmente le normative di riferimento sono il Codice dell’Ordinamento Militare[1] e il c.d. Regolamento, ossia il “Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare”[2].
Dal 2012, inoltre, una serie di interventi legislativi (i decreti n. 7 e 8 del 2014 e gli ultimi interventi riformatori del 2015- 2016) hanno innovato profondamente la disciplina esistente, eliminando la c.d. “pregiudizialità del giudicato penale” sul procedimento disciplinare, uniformandolo, tramite espresso rinvio, a quanto previsto per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni[3].
- La disciplina militare e l’illecito disciplinare
Al fine di comprendere i casi può essere legittimamente avviato un procedimento disciplinare, sulle prime occorre definire la “disciplina militare” come l’insieme di nome e disposizioni che stabiliscono gli obblighi e i doveri di comportamento dei militari, nonché le sanzioni da irrogare per assicurare il rispetto dei predetti.
Ebbene, ogni comportamento che violi la disciplina militare o i doveri di servizio, come descritti nel Codice o nel Regolamento costituisce un illecito disciplinare.
In seguito all’accertamento della responsabilità del militare possono trovare applicazione le sanzioni disciplinari di stato o di corpo.
Più precisamente, una prima definizione di “disciplina militare” è rinvenibile all’interno del Codice dell’Ordinamento Militare, il quale al Titolo VIII – rubricato per l’appunto “Disciplina Militare” – individua le regole ed i principi basilari dell’Istituzione militare. L’art. 1346 c.o.m. afferma che “la disciplina militare è l’osservanza consapevole delle norme attinenti allo stato di militare in relazione ai compiti istituzionali delle Forze armate e alle esigenze che ne derivano. Essa è regola fondamentale per i cittadini alle armi in quanto costituisce il principale fattore di coesione e di efficienza”.
Dunque, il militare è tenuto all’osservanza consapevole delle norme attinenti lo stato e la disciplina militare, nonché al rispetto dei rapporti gerarchici. Dalla rigida struttura gerarchica discende il dovere di obbedienza, il quale, ai sensi dell’art. 1347 c.o.m., è assoluto e consiste nella “esecuzione pronta, rispettosa e leale degli ordini attinenti al servizio e alla disciplina, in conformità al giuramento prestato”.
Il successivo art. 1350 c.o.m. definisce, invece, le condizioni di applicazione della suddetta normativa, affermando che “i militari sono tenuti all’osservanza delle norme sulla disciplina militare e sui limiti all’esercizio dei diritti, dal momento della incorporazione a quello della cessazione dal servizio attivo, ferma restando la disciplina dettata per il personale in congedo”.
In particolare, queste norme sono rivolte ai militari che:
- a) svolgono attività di servizio;
- b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio;
- c) indossano l’uniforme;
- d) si qualificano, in relazione ai compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali.
In conclusione, quindi, il militare che pone in essere una condotta configurabile quale illecito disciplinare può essere sottoposto ad un procedimento disciplinare diretto ad accertarne la responsabilità e, di conseguenza, può essere destinatario del provvedimento e della relativa sanzione disciplinare.
[1] D.lgs. 15 marzo 2010 n. 66 e successive modifiche ed interazioni, di seguito “il Codice” o “c.o.m.”
[2] D.P.R. 15 marzo 2010 n. 90 e successive modifiche ed integrazioni.
[3] La l. n. 124 del 7 agosto 2015 e il D.lgs n. 91 del 26 aprile 2016, hanno introdotto importanti modifiche all’art. 1393 c.o.m., che disciplina i rapporti fra il procedimento disciplinare e il procedimento penale. L’art. 1393, rinviando espressamente all’art. 55-ter del D.lgs. n. 165 del 30 marzo 2001 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni), recepisce quanto già previsto per la regolazione dei rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale nell’ambito del pubblico impiego, uniformando la disciplina delle forze armate e dei corpi militari a quella degli altri dipendenti delle pubbliche amministrazioni. In precedenza, era previsto quale principio generale che, “se per il fatto addebitato al militare è stata esercitata azione penale, ovvero è stata disposta dall’autorità giudiziaria una delle misure previste dall’articolo 915, comma 1, il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale o di prevenzione e, se già iniziato, deve essere sospeso”, in tal modo disponendo la pregiudizialità del procedimento penale rispetto a quello disciplinare. Al contrario, a seguito delle sopracitate riforme, è venuta meno la sospensione obbligatoria del procedimento disciplinare.
- I trasferimenti immotivati
Malgrado le differenze tra il trasferimento a domanda e quello d’autorità siano decisamente marcate, anche in relazione ai riflessi pratici che ne derivano per l’interessato, non sempre è pacifica la natura giuridica di alcuni trasferimenti, attesa la difficoltà di individuare chi tra l’amministrazione e il dipendente è titolare della posizione di maggiore interesse alla movimentazione.
In particolare, con riferimento a quelle ipotesi in cui emerge contestualmente sia una manifestazione di volontà del dipendente che un interesse dell’Amministrazione, entrambe coincidenti nella scelta della sede. Ad esempio, è stato chiarito che se viene disposto il trasferimento di un militare in una sede scelta dallo stesso quale “sede di preferenza”, qualora venga comunque ravvisata nella disposta mobilità la preminenza dell’interesse istituzionale della P.A., sarà dovuto al militare trasferito l’emolumento di secondo legge (Cons. St., sez. IV, n. 6279/2000). In pratica, pur in presenza di un significativo gradimento del dipendente alla nuova sede individuata dall’Amministrazione, l’emolumento sarà dovuto nel caso in cui emerga un interesse preminente dell’Amministrazione che, ebbene, da solo assume valore assorbente.
La problematica delle sedi di preferenza ha avuto un sensibile contenzioso con riferimento alla soppressione di alcuni enti militari ed alla contestuale movimentazione del personale che vi prestava servizio. In tali contesti, l’approccio dell’Amministrazione è stato per lo più quello di gestire una tale movimentazione di massa mediante la richiesta a ciascun dipendente delle sedi di preferenza, pur mantenendo il provvedimento quale trasferimento di autorità alla luce di una preminente esigenza organizzativa dell’Amministrazione.
Una forma di trasferimento che non ha generato dubbi interpretativi è il cd. trasferimento per incompatibilità ambientale. Esso è stato dalla giurisprudenza ricondotto nell’ambito dei trasferimenti per esigenze di servizio, non costituendo una fattispecie autonoma ma inquadrandosi quale species dei trasferimenti di autorità.
La finalità del trasferimento di un dipendente pubblico per incompatibilità ambientale è quella di ripristinare il corretto e sereno funzionamento dell’Ufficio restituendo allo stesso il prestigio, l’autorevolezza o l’immagine perduti (da ultimo, Cons. St., sez IV, 1133/2000). Lo stesso non ha carattere sanzionatorio né postula un comportamento contrario ai doveri d’ufficio e non ha natura disciplinare, essendo subordinato ad una valutazione ampiamente discrezionale dei fatti.
Parte della dottrina, non ancora accreditata da giurisprudenza, ritiene possibile la responsabilità amministrativa per l’ente nei casi di trasferimento per incompatibilità ambientale. In particolare, se i fatti e gli episodi posti a base della dichiarata incompatibilità sono di estrema gravità e di risonanza pubblica e la condotta tenuta risulta causativa del c.d., clamor fori e la Pubblica Amministrazione deve affrontare dei costi finalizzati a ripristinare l’immagine lesa, si può configurare un’ipotesi di danno all’immagine dell’Amministrazione di appartenenza del militare, il quale può essere chiamato in giudizio dinanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei Conti.
La lesione all’immagine della P.A. è determinata essenzialmente da comportamenti contrari ai principi fondamentali di organizzazione e di azione costituzionalmente rilevanti. La potenzialità dannosa del comportamento illecito va saggiata in concreto, caso per caso, per cui nessun rilievo assumeranno comportamenti sporadici, mentre la pluralità, la gravità ed il conseguente impatto sull’opinione pubblica di tali fatti costituisce un sicuro indice della diffusione della conoscenza da parte dei cittadini dell’esistenza di una distorta organizzazione dei pubblici poteri e, conseguentemente, della presenza di un danno certo per la p.a., danno che può essere quantificato equitativamente (Corte dei Conti – sez. I giur. d’appello – sent. 18 giugno 2004, n. 222).
Infine, nella tipologia di trasferimenti del personale militare, va accennato il “trasferimento a seguito di rinvio a giudizio” previsto dall’art. 3, comma 1, Legge 27 marzo 2001, n. 97 (regola i rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare). L’articolo disciplina le conseguenze che si riverberano sul rapporto di servizio a seguito di un decreto di rinvio a giudizio del dipendente pubblico, accusato di taluni reati gravi contro la P.A. (artt. 314, 317, 319, 319 ter e 320 c.p.). Sicché, viene imposta all’Amministrazione l’adozione di specifici provvedimenti nei confronti del dipendente che possono trovare concreta attuazione nel trasferimento in un “ufficio diverso” o in un “trasferimento di sede” o nel collocamento “in posizione di aspettativa o di disponibilità” quando non è possibile attuare il mero trasferimento di ufficio/sede.
Esaminata nello specifico la peculiarità del trasferimento d’autorità e la rispettiva tutela accordata sia in sede amministrativa che giurisdizionale, analizziamo le pretese risarcitorie che il militare può avanzare in concreto quando è colpito da un provvedimento di trasferimento illegittimo.
Sulle prime va verificato se gli interessi procedimentali in argomento sono collegati ad una utilitas, ovvero un bene della vita protetto, ai fini di una loro possibile tutela in via risarcitoria. In caso di risposta positiva, la privazione o il non completo godimento dello stesso può costituire fonte di pretesa risarcitoria poiché produttive di riflessi negativi nella sfera giuridica dell’interessato.
Difatti, la legge n. 241/1990, consentendo al destinatario dall’atto conclusivo del procedimento di avvalersi di strumenti partecipativi, permette ai beni della vita (interessi materiali) dello stesso di trovare ingresso nel circuito decisionale dell’Amministrazione per una ponderazione comparativa tra gli interessi perseguiti.
In tale contesto, una delle ultime forme di danno elaborate dalla giurisprudenza è il cd. danno esistenziale, quale danno non patrimoniale.
Sulla categoria dei danni non patrimoniali, la sentenza della Corte costituzionale 233/2003 ha fatto chiarezza in merito alla legittimità ed efficacia dell’art. 2059 c.c., fornendo una visione in linea con altre le precedenti pronunce della IV sez. pen. della Cassazione (8827 e 8828/2003). La Corte costituzionale ha chiarito che per la configurazione dell’art. 2059 c.c. non occorre l’accertamento in concreto della fattispecie di reato. Difatti, se è vero che l’art. 2059 c.c. prevede la risarcibilità dei danni non patrimoniali solo nei casi derivanti da reato, è altrettanto vero che il legislatore ha ammesso la risarcibilità nelle ipotesi estranee alla fattispecie penale e dunque senza la presenza di un reato vero e proprio.
Inoltre, la giurisprudenza ha individuato, nell’ambito dell’operatività dell’art. 2043 c.c., le ipotesi di danno non patrimoniale risarcibili senza la presenza di un reato.
Ne consegue il formarsi di un sistema di “risarcimento bipolare”, dove al danno di natura patrimoniale si aggiunge quello non patrimoniale, previsto dall’art. 2059 c.c., nei casi di lesione di valori riferiti alla persona, quali: l’integrità fisica e morale, la libertà etc. Pertanto, ad avviso della Corte, l’art. 2059 c.c. deve essere interpretato nel senso che il danno non patrimoniale, in quanto riferito all’astratta fattispecie di reato, è risarcibile anche nell’ipotesi in cui, in sede civile, la colpa dell’autore del fatto risulti da una presunzione di legge.
Sono individuate diverse categorie di danno non patrimoniale: danno esistenziale, biologico e morale.
Il danno esistenziale è definito come la forzosa rinuncia allo svolgimento di attività non remunerative che costituiscono fonte di compiacimento o di benessere per il danneggiato, ovvero quella infinita serie di pregiudizi che si riflettono negativamente nell’esistenza di un soggetto e rendono la vita relazionale difficoltosa.
Esso si differenzia dal danno biologico perché è indipendentemente da una lesione fisica o psichica e dal danno morale perché non si sostanzia in una sofferenza, ovverosia in un “sentire”, ma in una rinuncia all’attività concreta, ovverosia in un “fare/non fare” dove la sofferenza può solo essere una conseguenza ulteriore. Infine, si distingue dal danno patrimoniale poiché questo si identifica in una deminutio patrimonii.
Nei rapporti di lavoro, il danno esistenziale trova la sua concreta applicazione in quei danni alla personalità relativi alla lesione dei diritti inviolabili della persona costituzionalmente garantiti e si categorizza in:
- danno professionale;
- danno psicologico transeunte;
- danno alla serenità della vita familiare;
- danno alla serenità della comunità lavorativa;
- danno alla salutare fruizione dei piaceri e delle gratificazioni della vita di relazione e dei rapporti sociali.
Innumerevoli sono le conseguenze dannose che possono scaturire da un illegittimo agire del datore di lavoro. Per cui un trasferimento illegittimo può certamente rappresentare un campo privilegiato di applicazione della categoria del danno esistenziale, incidendo pesantemente sull’appagamento esistenziale del militare.
Al riguardo, rileva citare una recentissima pronuncia della Cassazione (26 maggio 2004, n. 10157) con riferimento ad un illegittimo trasferimento di un lavoratore ed al suo contestuale demansionamento. La Corte ha ritenuto che un siffatto agire da parte del datore di lavoro viola non solo lo specifico art. 2103 c.c. ma si traduce anche in una lesione del diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro, garantita dagli artt. 1 e 2 della Costituzione. Con la conseguenza che il pregiudizio derivato da tale lesione, dispiegandosi nella vita professionale e di relazione dell’interessato, ha un’indubbia dimensione patrimoniale che lo rende suscettibile di risarcimento, determinato e liquidato dal giudice con valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c.
Dunque, i provvedimenti del datore di lavoro che illegittimamente menomano il diritto del dipendente alla libera esplicazione della sua personalità vengono a ledere inevitabilmente l’immagine professionale, la dignità personale e la vita di relazione del lavoratore, in termini di autostima e di eterostima nell’ambiente di lavoro ed in quello socio familiare.
Sono i riflessi nel contesto familiare ad assumere il maggior rilievo ai fini della configurabilità del danno di natura esistenziale di un trasferimento illegittimo. Sebbene il militare rivesta uno status che gli impone di accettare le diverse movimentazioni, le stesse devono essere connesse alle reali esigenze di servizio nonchè rispettose delle ridette esigenze familiari. Si tratta di “ostacoli” alla vita familiare che vengono mitigati da alcuni interventi del legislatore, non ancora considerati sufficienti.
Risulta chiaro, pertanto, quanto sia importante individuare l’esatta natura giuridica dei provvedimenti di trasferimento di autorità, attesa la differente tutela predisposta ai soggetti destinatari.
Abbiamo anche sottolineato come, indipendentemente dalle disquisizioni dottrinarie, l’indirizzo giurisprudenziale prevalente allo stato attuale è quello fornito dal Consiglio di Stato, che equipara il provvedimento di trasferimento dei militari a un ordine e lo considera un atto sottratto alle garanzie procedimentali fissate dalla l. 241/1990.
A tale giurisprudenza prevalente si affianca una minoritaria di alcuni tribunali amministrativi regionali, che non intravedono quei presupposti idonei ad esonerare l’atto di impiego del militare dalla normativa di carattere generale dell’atto amministrativo.
Nonostante l’indirizzo fornito dai giudici amministrativi di secondo grado risulti prevalente, non è consentito all’Amministrazione di tenere comportamenti arbitrari, illogici o irrazionali nei confronti del proprio personale: comportamenti frutto di mero arbitrio sono considerati comunque illegittimi. Piuttosto, in un contesto di ordinaria gestione del personale militare il destinatario del provvedimento di impiego non gode della medesima tutela accordata a qualsiasi altro lavoratore.
Abbiamo evidenziato la sussistenza di profili di illegittimità costituzionale relativi alla diversa sede giurisdizionale accordata al militare rispetto agli altri pubblici impiegati: il personale militare è soggetto al giudice amministrativo, gli altri al giudice ordinario mediante un rito speciale per la materia del lavoro.
Queste differenziazioni sono conseguenza della specificità dell’ordinamento militare e trovano una logica motivazione nella necessità di preservarlo da quegli istituti (es. il diritto di sciopero) che mal si conciliano con una struttura di tipo gerarchico. La specialità dell’ordinamento militare incontra, però, un limite nelle garanzie costituzionali di carattere generale come il diritto di difesa accordato al militare destinatario di un provvedimento illegittimo.
In sintesi, non è auspicabile mantenere una posizione rigida favorevole o di senso contrario sulla natura del trasferimento d’autorità come “ordine”, mentre è più opportuno non fissare alcun principio generale sulla materia e rimettersi alla prudente valutazione del giudice, che deve primariamente verificare le condizioni di luogo e di tempo che hanno condotto all’emanazione del provvedimento. Tale valutazione esige di contemperare scrupolosamente le esigenze dell’Amministrazione con quelle del dipendente, avendo presente, da un lato, il particolare status del ricorrente e i suoi doveri, dall’altro, valutando ed apprezzando il particolare contesto di urgenza e di operatività della Forza Armata procedente, nonché la sua attualità (un aspetto non scontato, poiché se insussistente può configurare l’ipotesi di eccesso di potere dell’Amministrazione con possibili riflessi di natura risarcitoria in favore del dipendente.
Impugnazioni ..
Nelle note caratteristiche …
Nelle sanzioni disciplinari …
Nei trasferimenti d’Autorità …
Di ordini ingiusti …